lunedì 19 novembre 2007

Commercio elettronico in italia


Il marketing è il driver del commercio elettronico
A guardare i numeri del commercio elettronico in Italia c'è da essere ottimisti, ma i ricercatori dicono che è chiaramente sottodimensionato rispetto alle potenzialità e sottosviluppato in confronto con paesi come la Francia e la Germania.A guardare i numeri del commercio elettronico in Italia c'è da essere ottimisti: sono tutti a due cifre con tassi superiori al 30 per cento. Se però si scava un po', ci si accorge che non è tutto oro quel che riluce. Si prenda il settore di turismo e viaggi che, come al solito (i dati sono di Netcomm e School of management del Politecnico di Milano) fa la parte del leone con una crescita che supera il 50%; ebbene, dicono i ricercatori, esso è chiaramente sottodimensionato rispetto alle potenzialità, e sottosviluppato alla grande se solo si fa il confronto con paesi come la Francia e la Germania. Queste considerazioni si rincorrevano all'annuale eCommerce Summit, organizzato a Milano da Business International, dove, pur facendo i relatori professione di ottimismo, sono state sottolineate in modo chiaro le grandi difficoltà che presenta il mercato della spesa online in Italia. In questo senso, affidarsi alla lettura dei numeri è un'occupazione quasi schizofrenica, c'è il rischio continuo che uno contraddica l'altro. Per esempio, da una parte cresce il valore medio dell'ordine, cosa che indica una fidelizzazione da parte dei navigatori che acquistano d'abitudine, ma, dall'altra parte, quasi l'80% mercato resta nelle mani di una ventina di operatori (di questi, 12 appartengono al settore turismo); un dato nemmeno lontanamente coerente con la struttura industriale del nostro paese. Oltretutto, il 53% è rappresentato da pure player, cosa che dimostra che un numero davvero esiguo di aziende ragiona in termini di multicanalità. Molte sono le remore lato domanda (paura di frodi, che invece sono praticamente inesistenti, scarsa cultura informatica, poca dimestichezza col direct marketing), ma anche lato offerta, con forti ritardi e scarsa internazionalizzazione; si pensi che su 900 milioni di giro d'affari annuo, solo il 17% arriva dall'estero. Nessuna meraviglia allora se è più facile acquistare un capo d'abbigliamento marchiato made in Italy su un sito straniero..Cosa fare per superare l'impasse? Secondo Giuliano Noci, professore ordinario di marketing presso il Politecnico di Milano, bisogna superare la mancanza di coraggio da parte delle imprese nostrane (in Uk ci sono 180 mila imprese che vendono anche online, in Italia appena 13 mila), il problema della connettività che riguarda anche province ricche del nord, le solite resistenze culturali, e l'eterna paura che le imprese italiane hanno che il canale online concorra con quello offline. Per Noci, il male sta nell'approccio iniziale:"Si è partiti dall'assunto che internet fosse un semplice generatore di risparmi, e che, per fare questo, contasse solo la tecnologia giusta". Ahinoi, non è così, perché l'approccio deve essere soprattutto di marketing, e, qui Noci ci va giù duro, "purtroppo, noi italiani non sappiamo fare marketing". Le linee guida stanno nel progettare un'esperienza online relazionale, nel capire fino in fondo l'efficacia di una strategia multicanale, nel mettere al centro il "cost-to-serve e il value-to-weight", il tutto inserito all'interno di politiche di marketing chiare ed efficaci che sposino un nuovo concetto di shopping online rispetto al più tradizionale acquisto online. E le tecnologie? Per Noci, rappresentano un fattore abilitante; interessanti, in questa ottica, le tecnologie del web 2.0 (il social networking, per esempio), e gli ambienti virtuali tridimensionali. Fonte: Il Sole 24 Ore
Ho ripreso questo articolo perche' ho un interesse diretto nel commercio elettronico,e la mia riflessione e' positiva per l'andamento che ha questo settore sopratutto per gli spazi di crescita che andiamo ad avere.Scirvete voi i vostri commenti in merito li aspetto.

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Buona lettura e buon post a tutti!!